Le prestazione rese oltre il debito orario devono essere retribuite in linea con il disposto dell'art. 36 Cost... Cassazione Sez. Lavoro, Ord. n. 17912 – 28. 06. 2024

11.07.2024

Un Infermiere agiva contro l'ASP di Reggio Calabria La Corte d'Appello di Reggio Calabria respingeva la domanda di un infermiere che aveva agito nei confronti dell' ASP di Reggio Calabria, chiedendo la remunerazione delle attività svolte oltre il debito orario al fine di assicurare le prestazioni di dialisi estiva verso i pazienti di altre regioni soggiornanti in Calabria.

La Corte, in particolare, revocava il decreto ingiuntivo ottenuto dal lavoratore, ritenendo che la vicenda fosse regolata dal DL n. 402 del 2001, poi recepito dal CCNL 2008/2009, le cui norme prevedono la necessità di autorizzazione regionale, il ricorrere di certe condizioni soggettive e la contrattazione della tariffa, tutte circostanze la cui sussistenza non era stata allegata; contestualmente, gli impegni lavorativi e di spesa erano stati ridotti per rispettare i vincoli di bilancio.

Infatti secondo i giudici della Corte d'appello, mancavano le allegazione e prova dei fatti costitutivi, tra cui l'autorizzazione regionale e le condizioni soggettive dei lavoratori (prestazione di servizio a tempo pieno da almeno sei mesi; assenza di esenzioni da mansioni; etc.) e mancando una disciplina contrattuale definitoria dei compensi, la domanda dove essere disattesa.

La Suprema Corte accoglie il ricorso, rilevando che, "in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni c.d. «aggiuntive» - ai sensi dell'art. 1 del d.l. n. 402 del 2001, conv. con mod. dalla L. n. 1 del 2002, richiamato ratione temporis dalla contrattazione collettiva del comparto sanità - è subordinato al ricorrere dei presupposti dell'autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti cc. dd. soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l'attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l'applicabilità dell'art. 2126 c.c., in relazione all'art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, il quale determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione.

Per autorizzazione, nell'ambito del lavoro straordinario, come specificato dal Collegio, si intende il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente vel proibente domino, ma con il consenso del medesimo e che il consenso alle prestazioni può anche essere implicito.

Tale consenso, una volta esistente, integra gli estremi che rendono necessario il pagamento e ciò anche ove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo.

I giudici di legittimità hanno, altresì, richiamato quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 27 gennaio 2023, n. 8, che, nel vagliare la legittimità dell'art. 2033 c.c., rispetto alla ripetizione di pagamenti indebiti nell'ambito dei pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come l'art. 2126 c.c., in ragione della protezione da esso assicurata alla causa dell'attribuzione, costituita da una attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta, giustifica sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, qualora questo sia stato già erogato, l'irripetibilità del medesimo.

Inoltre, una volta autorizzata e svolta la prestazione, non è sul lavoratore che possono gravare le conseguenze della divergenza rispetto agli impegni di spesa.

Semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità, verso la Pubblica Amministrazione, dei preposti che non avrebbero in ipotesi dovuto consentire quelle lavorazioni; ma non può ammettersi che il sistema giuridico, contro il disposto di norme centrali di esso, sia alla fine declinato in pregiudizio del prestatore di lavoro subordinato che abbia svolto l'attività sua propria ed alla cui tutela sono di presidio i principi costituzionali già richiamati.

Per quanto sopra, il Collegio ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale, chiamata a verificare l'esistenza del credito retributivo in ragione del superamento del debito orario e con riferimento, sotto il profilo della quantificazione, alle misure unitarie orarie proprie del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva del tempo, senza attribuire rilievo ai limiti orari di ricorso allo straordinario eventualmente previsti dalla medesima contrattazione, né ad altri vizi degli incarichi con cui è stato disposto l'impiego del lavoratore nel servizio di dialisi estiva.

In sintesi, la Cassazione ha affermato il principio secondo cui, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell'art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedano autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, sia stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, prevalendo la necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell'art. 36 Cost..